Cultura

Premio Nazionale di Medicina, la scienza nella casa della fede

Marino Pagano
Mons. Aurelio Marena
Storia della genesi dell'evento organizzato da più di quarant'anni dalla Fondazione Onlus "Santi Medici Cosma e Damiano"
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Come noto, sabato scorso si è tenuta la cerimonia finale dell’ultima edizione del Premio Nazionale di Medicina “Santi Medici”.

Si tratta di un concorso scientifico di riconosciuto valore che arricchisce, ormai da più di un quarantennio, le numerose attività socio culturali che, presso la basilica pontificia prima e soprattutto presso la Fondazione “Opera Santi Medici Cosma e Damiano Onlus” poi, caratterizzano il cammino del santuario nato in onore dei due fratelli santi anargiri.

Ecco una breve storia del premio, con cenni sulle origini e sul particolare perché di questo ambito riconoscimento proprio nella città di Bitonto.

Concepito e istituito dall’allora vescovo della diocesi di Ruvo-Bitonto Aurelio Marena nel 1976, due anni prima di lasciare la diocesi locale per far ritorno nella sua Napoli, il premio rappresenta uno dei tanti fiori all’occhiello del lungo e luminoso episcopato del presule partenopeo.

Marena è ancora ricordato affettuosamente come l’ultimo vescovo di Bitonto prima della soppressione dell’antica diocesi locale, cui solo nel 1818 era stata unita, aeque principaliter e in persona episcopi, Ruvo di Puglia.

Marena lesse nel santuario la casa dei sofferenti, nell’indelebile immagine di culto legata ai due fratelli santi e medici.

La casa, dunque, dell’ascolto, da parte del Signore e dei suoi intercessori, del grido di dolore dell’uomo, provato dalla sofferenza fisica e talvolta -tanto più nella nostra critica modernità- anche morale, etica.

Già dal 1963, nell’importante e storico discorso di inaugurazione del santuario stesso,Marena aveva parlato del luogo di culto che stava nascendo come di un futuro “centro studi” che potesse approfondire “le ultime conquiste della scienza in armonia con i problemi della fede”.

Il napoletano Marena riconosce la sintesi e non vede contrasti tra fede e scienza, nel solco, se si vuole, di quel Benedetto Croce, napoletano come il vescovo (il quale respirò l’aria di una Napoli prettamente crociana), che individuò con lucidità la paternità morale del cristianesimo, oggettivo faro della civiltà e della società occidentale (famoso il suo “Perché non possiamo non dirci cristiani”).

Seguendo questo umano incedere dettato dalla speranza cristiana, s’inserisce naturaliter anche l’importante concorso, destinato a ricercatori nel campo della medicina. Dolore, scienza, prossimità verso il sofferente: un premio che nasce dalle meditazione di quella fede che, attraverso lo studio e lo sforzo della ragione, necessariamente arriva alla società.

Il binomio tra fede e vita, tra fede e società, è sempre focale.

Aurelio Marena, tra l’altro, viveva nel costante culto di un’importante figura: Giuseppe Moscati, medico, nato a Benevento nel 1880 e morto a Napoli nel 1927, la cui famiglia era però originaria del piccolo comune irpino di Santa Lucia di Serino, paese da cui provenivano anche i Marena, amici di famiglia dei Moscati.

Il pontefice Paolo VI proclamò beato Moscati il 16 novembre del 1975, con Marena assai felice e partecipe, tra l’altro tra i più impegnati promotori della causa di beatificazione del celebre medico (lui che già si era impegnato per la causa del beato artigiano Nunzio Sulprizio, abruzzese di Pescosansonesco).

Il 25 ottobre 1987 sarà Giovanni Paolo II a dichiarare il Moscati degno anche della piena santità.

Scienza e fede che tornano.

Né era mancata, nella particolare sensibilità del vescovo Marena verso la sofferenza dell’uomo, la consulenza dei medici cattolici e l’augurio della nascita, presso il santuario, di una formazione attiva di cultori della materia medica di ispirazione e cultura cattolica.

Il vescovo proveniva, del resto, dalla difficile realtà storico sociale napoletana della guerra, che in primissima persona aveva sperimentato, come ausiliare del celebre vescovo di Napoli, Alessio Ascalesi.

Una chiesa di prossimità, allora, antesignana, diremmo, di quella “in uscita”, tanto cara all’attuale pontefice.

E così, già tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, Marena cominciò ad attivarsi sull’istituzione del Premio di Medicina.

Importante fu, per il vescovo, la collaborazione, proprio nel segno e nel senso della partecipazione del laicato più meritevole, competente e attivo, del medico Michele Masellis, più volte ringraziato direttamente da Marena per il suo determinante ruolo.

Si arriva, così, al fatidico 19 marzo 1973, festa di San Giuseppe e data dell’inaugurazione del santuario stesso, quando viene emanato il decreto di istituzione del premio.

Obiettivo primario: “Incoraggiare l’attività degli studiosi nel campo medico-biologico. I risultati di ricerche scientifiche o di terapia applicata saranno valutati su parametri di originalità e di concreto contributo al progresso medico”.

Nome completo del premio: “Fondazione SS. Medici Cosma e Damiano per il progresso delle scienze medico-biologiche”.

Nella lunga fase di gestazione, Marena ascoltò il parere di più medici e cattedratici: dal prof. Alberto Amerio, direttore dell’istituto di Nefrologia medica dell’Università di Bari, al famoso professor Giuseppe Lazzati, importante figura di laico cattolico del novecento italiano.

Da ricordare, come determinante collaboratore di Marena, anche il professor Nicola Simonetti.

Il regolamento del premio, depositato presso studio notarile nel settembre del 1973, stabilì che al vincitore dovesse essere messa in palio la somma di due milioni di lire.

Il premio, a scadenza biennale, partì ufficialmente il 26 settembre 1976, festa liturgica dei Santi Medici, rivolto in maniera particolare ai giovani neo laureati, visti evidentemente come messaggeri ideali di ricerca e fiducia, nel segno di un vivace contributo alla scienza medica, sempre in cammino e crescita.

Il secolare e celebre culto bitontino verso i santi si sposò definitivamente allo studio, all’avanzare della ricerca.

Ogni edizione del riconoscimento ha visto partecipare a Bitonto i più noti e illustri ricercatori e docenti in medicina, provenienti dai più disparati atenei italiani.

La I edizione del premio del ‘76 riguardò, naturalmente, il biennio ’76-’78.

Il tema scelto fu: “Fisiopatologia, clinica e terapia delle uremie”, con la partecipazione dei più noti specialisti in nefrologia italiani.

I vincitori, premiati direttamente da Marena, furono la dottoressa Maria Pluvio e il dottor Giuseppe Passavanti.

Sarà così sempre più evidente come il Premio di Medicina nasca e viva nel tracciato di una fede nella scienza, partorito nella casa della fede.

Al convegno (30 settembre 1978, presso il seminario vescovile) si parlò del tema “Terapia conservativa delle insufficienze renali e Nefrologia clinica”. L’assise fu messa a punto da un team composto dal cav. Francesco Persia; dal dottor Nicola Simonetti, direttore sanitario dell’ospedale “Di Venere” di Bari; dall’allora rettore della basilica, mons. Domenico Vacca e dai sacerdoti Carmine Fallacara, Mimì Giugliano e Pasquale Muschitiello.

Dalla cronaca riportata da Antonio Amendolagine sulla Gazzetta del Mezzogiorno dell’epoca, ecco ancora Aurelio Marena.

Il vescovo, ancora una volta, chiarì perché il premio fosse stato concepito lì, presso il santuario.

Ecco le sue illuminanti parole: “Per onorare i due Medici Cosma e Damiano è parso giusto e doveroso unire allo splendore del culto lo studio della medicina. Né penso possa destare meraviglia il fatto che questa iniziativa sia stata promossa da una basilica pontificia. La chiesa ha sempre protetto nei secoli l’arte e la scienza. Essa teme l’errore, non la verità. E, inoltre, la missione sacerdotale è tanto vicina alla professione del medico, essendo l’uomo formato di anima e di corpo in quella unità che integra e costituisce la dignità della persona umana”.

giovedì 5 Ottobre 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 22:34)

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