Campagna elettorale

«L’uomo delle novità». Intervista a Dino Ciminiello, parte 1

Annarita Cariello
Dino Ciminiello con Annarita Cariello
Il candidato sindaco del M5s si racconta e spiega il suo programma in una lunga chiacchierata a Mariotto, tra i luoghi del cuore della frazione in cui è nato
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L’incontro con Dino Ciminiello, candidato sindaco del Movimento 5 stelle, avviene in un bar del centro di Mariotto nella calda mattinata del Venerdì Santo. La frazione, con i suoi colori e rumori, è la cornice ideale per un’intervista impostata come una conversazione fra vecchi amici, nei luoghi d’infanzia di Ciminiello che a Mariotto è nato e cresciuto, prima di trasferirsi a Palombaio.

Il Caffè degli Artisti accoglie la prima parte della chiacchierata, davanti ad un caffè macchiato. Risposte ponderate, per spiegare nel dettaglio le ragioni di scelte personali e politiche. «Mia madre è una casalinga – racconta Ciminiello – e abita ancora a Mariotto nella nostra vecchia casa d’infanzia, vicino a quella di mia sorella. Mio padre era un agricoltore, è scomparso diversi anni fa ma il ricordo delle sue parole mi accompagna ancora. Mi chiamava “l’uomo delle novità”, quando gli comunicavo le mie scelte di vita, alcune anche drastiche. Mia madre, invece, temeva sempre i cambiamenti: non è stata d’accordo quando a undici anni ho deciso di entrare in seminario, e neppure quando, dieci anni dopo, ho scelto di uscirne. Anche adesso, quando le ho raccontato la mia volontà d’impegnarmi in politica, non ha fatto salti di gioia, come pure mia moglie. Poi si sono lasciate trascinare dal mio entusiasmo ed ora costituiscono per me un supporto fondamentale».

Dino Ciminiello ha 34 anni e modi cordiali. Saluta tutti, si ferma ad ascoltare i compaesani che, se prima lo additavano come “u prevt” per i suoi trascorsi in seminario, ora lo definiscono scherzosamente “u sindach d Mariott”. E proprio dalla chiesa Maria Santissima Addolorata, luogo del cuore della sua infanzia, comincia la nostra passeggiata a Mariotto.


Da animatore parrocchiale a seminarista, poi dipendente delle forze armate ed ora candidato sindaco di Bitonto. C’è un fil rouge che annoda tutte queste esperienze, una motivazione che l’ha portata a cambiare tante volte strada nella vita, pur conducendola poi sempre nella stessa direzione?

«Effettivamente lei ha tracciato dal punto di vista di una mariottana, cioè di una persona che vive nelle frazioni, un aspetto fondamentale che mi ha spinto ad impegnarmi in politica. Sin da piccolo sentivo forte l’esigenza di impegnarmi, di essere d’aiuto agli altri, ed è proprio questo il filo rosso a cui lei faceva riferimento. Nelle tante piccole scelte che ho fatto è stato sempre il filo conduttore che mi ha spinto, perché non c’è mai stato un mio interesse personale per guadagnarci qualcosa. Mi chiede perché volevo diventare sacerdote, perché poi ho scelto di diventare un militare. Beh, non sono decisioni opposte, perché anche lo status di militare richiede il sacrificio verso gli altri. Nella mia personale esperienza il vivere comunitario era legato a diverse esperienze fatte e questo avviene anche nella comunità 5 stelle: è vero che noi stiamo facendo un percorso, ma lo facciamo insieme. Al contrario dei partiti, non è Dino Ciminiello che assume un incarico di leader e decide e detta la linea politica, stile Abbaticchio per intenderci. L’approccio del Movimento 5 stelle è quello della condivisione, di vivere e credere insieme in un programma partecipato. Il filo rosso quindi, nelle scelte di Dino come uomo, di entrare in Seminario, con tutte le esperienze connesse al vivere in comunità e nelle diverse parrocchie della provincia, scaturivano dalla voglia di essere parte di qualcosa, di confrontarsi con gli altri, di poter dialogare con più parti, di guardare alla diversità come a qualcosa per migliorarsi. Poi, come militare, capisci di essere davvero a servizio delle istituzioni e dei cittadini e questo io lo sentivo vero, a Lampedusa con gli immigrati, nelle comunità dove ho soggiornato…».


Tutto è partito da qui, però. Dalla sua parrocchia, dalla sua chiesa.

«Qui ho vissuto le mie prime esperienze in comunità, sollecitato dalla figura carismatica di padre Aldo Nespoli che mi spingeva sempre a dare di più, rispetto agli altri. Lui mi ha aperto le porte di questa esperienza in seminario, ma la decisione è stata mia, perché avevo captato la possibilità fuori Mariotto di aprire la mente, di ricevere educazione anche al di fuori del ristretto ambiente familiare, di vivere in contatto con altre realtà, seguendo delle regole che non sono mai state limitanti ma funzionali alla mia crescita come persona. La Mariotto dei primi anni 90 deve molto alla presenza dei Betarramiti, che per oltre vent’anni hanno alimentato la miccia della partecipazione, della condivisione, dell’impegno civico, laddove le istituzioni fallivano. E il degrado di questi ultimi anni, l’abbandono della parrocchia, la mancanza delle istituzioni, sono un sintomo importante della sofferenza di Mariotto, che si sente ancora più periferia».


Poi, a 21 anni, il cambiamento radicale: ha deciso di lasciare l’ambiente protetto del Seminario per provare la vita militare, nel corpo dell’Aeronautica. Due mondi opposti?

La mia volontà era quella di fare scelte consapevoli, in primis. Dicevo a me stesso che la centralità in una vita era essere sereno e felice. Se tu sei felice nel fare una scelta, questo poi potrà tranquillamente permetterti di vivere una vita per gli altri, senza ricercare un tuo interesse personale. E questo è stato focale anche nelle scelte successive che ho fatto: quella di sposarmi, quella d’impegnarmi in politica… Sono felice della vita che faccio, non sento frustrazioni, dunque il mio mettermi a disposizione degli altri è finalizzato solo al bene che posso dare in più alla comunità. Sono certo di aver fatto, a 21 anni, una scelta giusta: se avessi proseguito il percorso per diventare prete, l’avrei fatto solo se fossi stato convinto che quella era la mia strada. Quando ho capito che l’avrei fatto per non dare una delusione agli altri, per non cambiare direzione, per inerzia, ho compreso che avrei vissuto una vita frustrante, non di vera utilità per gli altri».

Continua a mettersi in discussione?

«Lo faccio sempre, a partire dall’esame di coscienza che faccio a fine giornata. Non ho mai voluto che la mia vita scorresse per inerzia. Con l’umiltà, con la semplicità, con il confronto con chi può aiutarmi a migliorare. Punti di riferimento importanti per la mia vita: i miei padri spirituali, i superiori dell’Aeronautica e, in questo percorso, Francesco Cariello, portavoce importante dei 5 stelle per Bitonto in Parlamento, e l’assemblea costituente del Movimento. Ecco, sento di voler fare questo percorso, perché avverto come mariottano e come “frazionario” delle mancanze, e perché so che alle spalle ho tante persone che credono in me. Questo mi fa dire: sì, va bene, insieme possiamo farcela!».


Fede e politica come si congiungono in questo percorso?

«In questi anni, ma sin da quando ero in seminario, si è sviluppata in me una coscienza critica che, sulla scia della formazione cattolica ricevuta, mi ha portato sempre ad impegnarmi a livello sociale e a tenere un approccio di confronto e costruttivo con i vari esponenti istituzionali locali. Il fare del bene agli altri, che è dettato dal Vangelo, significa anche essere sale della terra nella comunità in cui sei inserito. Questo concetto può sembrare banale, ma è fondamentale per chi crede e desidera essere un elemento positivo per la propria comunità, e in me è sempre stato predominante. La politica, per chi è credente come me, non consiste solo nel demandare agli altri le responsabilità, ma nel dare un proprio apporto personale, che può essere gestito anche in modo sereno e non per forza legato ai vecchi sistemi. Ecco perché il Movimento 5 stelle per me è idoneo al tipo d’impegno che intendo portare avanti. Non mi sono mai riconosciuto in altri partiti né nelle forze politiche che si sono avvicendate. In questi anni, infatti, credo che Mariotto, più che di una rappresentanza partitica o ideologica, abbia sentito l’esigenza di un portavoce del posto che portasse a Palazzo di Città le proprie istanze. La frazione si è sempre compattata con chi la rappresentava in consiglio comunale, com’è accaduto con il piddino Gaetano De Palma e con l’esponente di centrodestra Damiano Somma. Credo, e spero, che l’esperienza Ciminiello possa essere ora a livello locale quella chiave di volta diversa, quel vero cambiamento che non è mai avvenuto e che le frazioni e Bitonto desiderano».


In sostanza chiede ai suoi compaesani di fidarsi di lei, prima come persona e poi per il progetto politico in cui crede. La provoco: si pone sulla scia del modus operandi proposto in questi cinque anni da Michele Abbaticchio, che attraverso i social è in contatto diretto con i cittadini?

«Io credo che questa esigenza di volerti guardare negli occhi e scorgere nel tuo volto la tua sincerità, la tua disponibilità, la tua buona fede non sia solo l’esigenza delle frazioni, che giustamente in questo rapporto face to face con Abbaticchio si sono sentiti sempre un passo indietro, figli di serie B. Credo che tutte le periferie esistenziali abbiano bisogno non di attenzione comunicativa e anche mediatica (tramite Facebook, per intenderci) ma di un sindaco che propone un volto, e non uno schermo, al disoccupato, al ragazzo che non va più a scuola, ai giovani che vogliono scappare da questo territorio perché non trovano lavoro, alle frazioni, alle periferie abbandonate al degrado urbano, agli imprenditori della zona artigianale. L’imprinting della mia campagna elettorale è proprio questo: non ci sarà un sindaco burocrate che risponderà su Facebook, ma ci sarà un volto che, al di là della macchina amministrativa, sarà sempre pronto ad ascoltarti ed essere empaticamente con te. Tantissimi cittadini vogliono avere un confronto con noi, ci stanno contattando quelli inascoltati, le associazioni escluse dal meccanismo dell’amico dell’amico, gli imprenditori, i comitati di quartiere non coinvolti».


Eppure i comitati di quartiere sono stati un tassello fondamentale del disegno politico dell’amministrazione uscente, un’idea voluta e realizzata dalla giunta Abbaticchio.

«Al momento alcuni comitati di quartiere si sentono inascoltati, fungono da parafulmine per le lamentele dei cittadini. Io voglio che si sentano coinvolti nella macchina amministrativa in un’idea di bilancio partecipativo. Voglio coinvolgere i comitati di quartiere dentro gli argomenti che stanno loro a cuore, non aspettare che ci presentino problemi da risolvere. Non mi stupisco che a Mariotto non si sia formato un comitato di quartiere, perché Mariotto da sempre è stata fucina di partecipazione, di associazionismo, la gente qui vuole partecipare ma non ha creduto in questo strumento, in cui ha visto delle oggettive mancanze. Se c’è una visione comune, come quella che il M5s intende proporre, occorre fare rete con tutti. Io cercherò di essere rete, di mettere insieme la gente per trovare una soluzione ai problemi. Più che dire alla gente di fidarsi di me, dico: fidatevi della visione che il M5s ha della città, e in cui la mia persona ben s’innesta. Non ci sarà un uomo solo al comando di cui fidarsi, c’è un progetto condiviso, una rete che vogliamo mettere a disposizione. Nessuno deve rimanere indietro! Quel “Partecipiamo” di Abbaticchio di fatto non si è realizzato, ha ragione Carmela Rossiello a parlare di “altro tradimento” nei confronti della città».


Quando parla di visione di città, a cosa si riferisce esattamente?

«Nessuna imposizione dall’alto, ma una serie di progetti da realizzare. I fondi per farlo si trovano perché ci sono. Ma non dobbiamo più assoggettare la città ai fondi disponibili, perché questo è successo. Dobbiamo capire cosa la città vuole diventare, in che direzione vuole andare, e poi trovare i fondi per realizzarlo. Visione e missione. Non parleremo di cose astratte, ma di cose che possiamo fare già da subito, cose che tendono a realizzare una visione di città a cui aspiriamo. È possibile immaginare una Bitonto che possa puntare sul settore della ricerca e dello sviluppo, sul rilancio tecnologico del territorio, dell’agricoltura, dell’edilizia, che possa ripartire dalla produzione in proprio di prodotti alternativi come la canapa, o di materiali edili. Ogni tre mesi la canapa è pronta per essere raccolta, può essere analizzata nel centro tecnologico e proposta ad aziende che possano specializzarsi nell’utilizzo di questo materiale. Un giovane, invece di scappare dalla nostra città, può e deve essere inserito in questo vortice di nuova economia, in questo meccanismo bloccato che dobbiamo stappare. Se pensiamo al Dup (il Documento Unico di Programmazione, ndr) appena approvato, in cui ci sono le strategie da elaborare per la visione futura della città, io non ho riscontrato la visione di Abbaticchio, cosa la città vuole diventare. Il dato sconvolgente inserito nel Dup è la decrescita demografica della città: in 5 anni da oltre 60mila abitanti siamo passati a 55mila. È un dato che fa capire che i giovani sono andati via, e noi dobbiamo invertire questa rotta. Cosa è mancato?».


Lo chiedo io a lei: cosa è mancato?

«Una visione della città che negli anni puntasse alla rigenerazione urbana. Ad esempio, se da anni non c’è più uno sviluppo agricolo, significa che l’amministrazione ha mancato, ma non solo nel concedere fondi in quel campo, preferendo puntare sul turismo. Eppure il nostro territorio è a vocazione agricola. Perché si è avuta questa visione miope, ereditata dall’amministrazione Pice, peraltro? Da anni non si valorizza il nostro territorio, a partire dalle frazioni. Si è pensato solo a valorizzare l’aspetto culturale, a partire dal centro antico, ma senza una politica precisa di marketing territoriale, se non basata su piccoli interventi, a seconda dei fondi a disposizione. È mancato il coordinamento tra i siti culturali, a partire dalla Galleria nazionale Devanna, l’unica della Puglia, esclusa da questo meccanismo, ridotta a contenitore di manifestazioni e di eventi. Interventi sporadici, finalizzati ad un turismo mordi e fuggi. I turisti giungono per partecipare agli eventi che si organizzano, ma non restano, non vivono la città. Non c’è rete neanche tra i bed & breakfast, per incentivare i visitatori con pacchetti turistici a rimanere a dormire in città. In sostanza, manca un sindaco che faccia rete».


E nelle frazioni, cosa è mancato?

«Abbaticchio ha guardato alle frazioni sempre e solo in relazione ai fondi disponibili da investire nel territorio e alle priorità. Se non ci sono fondi per le frazioni, mi dispiace ma devono tacere, questo è stato il suo modus operandi. Ecco perché sono state realizzate le giostrine e si è finalmente data realizzazione al progetto di recupero del canale di guardia: sulla base dei fondi intercettati, quelli disponibili. La politica di Abbaticchio è stata data da quello che aveva: “Se ho i soldi, faccio le cose”. Ma la politica non è solo questo, non è burocrazia di fondi concessi da altri. E dico di più: i fondi per fare rete ci sono, per la rigenerazione urbana, per un’agricoltura innovativa, per l’energia pulita tramite la cogenerazione attraverso gli scarti di prodotti locali. È impensabile? No, sono progetti già attuati altrove».


Fine della prima parte. Domani la seconda.


mercoledì 19 Aprile 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 23:52)

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