Verso le amministrative

«A Bitonto ho dato tutto me stesso». Intervista a Michele Abbaticchio, parte 1

Annarita Cariello
Michele Abbaticchio
Il candidato sindaco del centrosinistra civico si racconta e spiega il suo programma
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Si definisce il candidato sindaco del centrosinistra civico, lasciando a Sannicandro la palma di rappresentante del centrosinistra politico. Con un passato da giornalista di giorno e musicista di sera, Michele Abbaticchio, sindaco uscente di Bitonto, è l’uomo da battere alle prossime elezioni amministrative. Formatosi a Bruxelles come attrattore di finanziamenti europei, ha abbandonato a carriera da dirigente pubblico per candidarsi a sindaco di Bitonto nel 2012 e vincere inaspettatamente contro il favorito Paolo Intini, diventando il più giovane primo cittadino nella storia della città.

L’intervista ha luogo in quello che da cinque anni è la sua “casa”, Palazzo di Città. Oltre un’ora di conversazione, per parlare di tutto: dalla famiglia di origine all’impegno civico, dalle aspirazioni di ragazzo alle esperienze lavorative, fino a toccare i temi più vicini alla città, in vista delle amministrative dell’11 giugno.

La passione politica che in questi anni è diventata parte della sua vita, Abbaticchio dice di averla, in qualche modo, “ereditata” dai suoi familiari: «ll mio primo riferimento culturale e politico di centro è stato Alcide De Gasperi, ma mio nonno è stato sindaco della Democrazia Cristiana ed ho anche avuto alcuni forti riferimenti di sinistra, che sono retaggi della mia famiglia, se considera che mio padre è socialista e mio nonno comunista. Quando la domenica ci riunivamo a pranzo discutevano di politica, sembravano don Camillo e Peppone, confrontandosi anche veemente sugli ideali politici diversi. Io assorbivo questo clima culturale e mi sono formato attraverso le influenze di entrambi».

Ma quando si è avvicinato alla politica “fuori casa”?

Con il giornalismo, durante gli anni universitari, quando facevo lo speaker per “News by One” per Radio One di Bitonto. È stata un’esperienza bellissima ma molto dura, perché ogni giorno dovevo fare l’editoriale e la rassegna stampa. Enzo Abbatantuono e Salvatore Tassari facevano parte con me della redazione giornalistica. Con questa esperienza mi avvicinai ai consigli comunali all’epoca del sindaco Umberto Kuhtz e la mia prima intervista fu a Lillino Sannicandro, assessore ai servizi sociali. Non conoscevo nulla di politica locale, fu lanciato nella mischia perché Abbatantuono ritenne che avrei potuto occuparmi di politica. A me sarebbe piaciuto trattare la cultura o il sociale.

Com’erano i consigli comunali negli anni 90?

Più rispettosi della forma e della figura del sindaco.

Oltre alla radio, aveva altri interessi?

La sera, nei fine settimana, facevo pianobar fuori Bitonto, cantavo le canzoni dei grandi cantautori e suonavo la chitarra. I soldi che guadagnavo mi servivano per comprarmi l’attrezzatura musicale, visto che i miei non incentivavano affatto questa mia vocazione.

Perché no?

I miei genitori credevano che mi distogliesse dagli studi di Giurisprudenza. Consideri che militavo anche in un’associazione di volontariato a Bitonto, di cui ero presidente, per promuovere il centro antico, in tempi non sospetti. Si chiamava Al GioCo, Alcuni Giovani Controcorrente. Nonostante ciò, mi laureai in cinque anni e mezzo con 109 su 110.

Cosa voleva diventare “da grande”? Aveva già in mente una carriera in politica?

No, assolutamente. Avendo avuto a che fare con i consigli comunali, vedevo la politica molto distante da me, inarrivabile. Poi c’era una sorta di tensione nell’aria per cui chi non aveva un lavoro stabile si sentiva quasi scoraggiato a partecipare alla vita politica locale perché, se si fosse candidato, magari avrebbe potuto ricevere ripercussioni o ricatti. Per cui, prima di laurearmi, ero stato un paio d’anni a Bruxelles perché mio nonno aveva un Centro studi sui finanziamenti europei che aveva fondato con Aldo Moro e Pasquale Satalino, dove ho cominciato a formarmi proprio sull’acquisizione di fondi europei ed ho imparato molto. Mio nonno avrebbe voluto che facessi carriera in Belgio, ma a me non piaceva stare lì, soprattuto per il clima e il cibo.

Ed è tornato a Bitonto?

Si, mi sentivo ancora molto ancorato e vincolato al mio territorio, per tutte le attività che facevo nella mia città. Ho cominciato a fare praticantato in uno studio legale, ma non è durato neanche sei mesi. Non volevo diventare avvocato, avevo capito che la mia strada lavorativa era quella dei finanziamenti europei. Mi piaceva l’idea di poter vedere concretamente realizzate idee che in principio avevo solo nella mia mente. Ho lavorato prima in alcune aziende (e da lì arriva la mia impostazione commerciale su alcuni aspetti) e poi nel pubblico, che ho capito essere il mio destino: progettare per territori comunali, attrarre fondi e vedere che ciò che mi ero immaginato poi diventava realtà, perché avevo trovato io stesso i fondi per realizzarlo. Decisi d’intraprendere una carriera nel settore pubblico, prima nell’ambito di Francavilla come dirigente del Consorzio Servizi sociali per tre anni, poi a Bitonto un anno e mezzo come dirigente dei Fondi strutturali, direttore amministrativo dell’Autorità idrica pugliese e infine ho fatto questa pazzia di candidarmi a sindaco di Bitonto nel 2012.

Perché si è messo in gioco? Cosa l’ha spinta?

Un po’ perché pensavo di non vincere, pensavo di scattare come consigliere comunale e continuare quel percorso di avvicinamento alla politica che avevo cominciato da ragazzo, di volontariato e impegno per il mio territorio. Oggettivamente non era prevedibile che vincessi nel 2012 perché il mio avversario politico, Paolo Intini, era molto forte, ma vedevo che tanta gente credeva in me. Il mio impegno era partito dall’idea di fare una politica diversa e, come avviene in questi casi in cui si va controcorrente, si finisce all’opposizione. Poi quando sono diventato sindaco è cambiato tutto: pensavo di poter mantenere uno dei due incarichi che avevo ma non è stato possibile. Non c’era nulla che funzionasse come avrei desiderato, nella mia città, e mi ci sono completamente dedicato.

Come sono stati i primi anni da sindaco?

I primi tre anni sono stati massacranti, ed infatti ho avuto una flessione fisica che si è manifestata con i malori che conosciamo, dovuti allo stress accumulato. Se guardo le foto di cinque anni fa e le paragono con quelle attuali, resto impressionato. Dopo due anni di amministrazione ero cambiato anche fisicamente, lo stress aveva influito molto sulla mia salute fisica.

Forse anche perché ha impostato il dialogo con i cittadini su un rapporto quasi ossessivo-compulsivo dei social network, h 24?

Quando ho realizzato che ero diventato sindaco di Bitonto, ero terrorizzato, perché vedevo intorno a me troppa gente che credeva tanto in me e nel mio progetto. Avevo un grandissimo timore di deluderli. Allora ho pensato che non avrei deluso tutta la gente che aveva avuto fiducia in me se fossi riuscito a garantirle sempre un accesso ed un confronto diretto. L’unico mezzo che avevo per farlo, non potendo di persona per ragioni di tempo, era Facebook, a cui mi sono iscritto solo per politica di servizio, come canale con i cittadini. Chiaramente, per dedicarmi a questo, toglievo tempo ai miei affetti personali. Lo facevo oltre il lavoro, e a casa non hanno apprezzato assolutamente questa mia decisione. Ero diventato una specie di automa, e forse lo sono ancora un po’.

Quanto ha influito il suo impegno politico sui suoi rapporti personali?

Ha influito enormemente, a 360 gradi, dalla mia famiglia agli amici. Consideri che i miei vecchi amici non li frequento più. Loro mi comprendono, sanno come si svolge la mia giornata, pensano che sia dovuto solo al ruolo di sindaco, ma in realtà tutto dipende da come lo sto interpretando.

Ma ha tratto vantaggi dal suo rapporto no limits con i cittadini, anche tramite i social?

Mi ha tolto quella paura, quasi fisica, che avevo di deludere la gente, quando ho cominciato. Ho dato tutto, come impegno personale, non potevo fare altrimenti.

All’incarico già impegnativo di sindaco di Bitonto, si sono aggiunti poi quelli di presidente del consorzio Conca Barese, di vicepresidente nazionale di Avviso Pubblico e di vicesindaco della Città metropolitana di Bari. Com’è riuscito a conciliare tutto?

Sin da subito, come primo cittadino, ho dovuto abbandonare tutti gli incarichi che mi davano reddito, lavorativamente parlando, quindi a quel punto ho deciso di accettare incarichi a titolo gratuito che potessero dare qualche ritorno positivo alla mia città e alla mia esperienza di sindaco. L’incarico nella Conca Barese, per esempio, è servito per portare le telecamere a Bitonto e la Conca Barese non prendeva finanziamenti da dodici anni, prima di me. Avviso Pubblico mi toglie un giorno al mese, in media, e mi nominarono vicepresidente perché ritennero che l’esperienza di Bitonto, in tema di lotta alla criminalità organizzata, potesse essere utile anche per gli altri Comuni. Così come io ritenevo che le loro competenze sulla gestione dei beni confiscati alla mafia o sulle ordinanze contro le slot machine, potessero essere utili alla nostra città. Diciamo che è stato uno scambio alla pari, poi è chiaro che sono incarichi che mi hanno anche dato visibilità.

Ma non crede che questi incarichi le abbiamo tolto tempo da dedicare all’amministrazione della sua città?

Alla fine dei conti, rifarei queste scelte perché ognuno di esse mi ha aiutato nella mia attività di sindaco. E non avrei potuto ottenere risultati importanti per Bitonto, se non assumendo quegli incarichi lì. Essere vicesindaco della Città metropolitana, anche se mi impegna più giorni al mese, è servito sicuramente perché ha avuto una ricaduta fortissima sul nostro territorio, considerato che Bitonto, dopo Bari, è la città che ha ottenuto più finanziamenti regionali. Parliamo di 9 milioni e mezzo di euro in totale solo negli ultimi sei mesi, che garantiscono la realizzazione di opere rilevanti del piano triennale dei lavori pubblici a Bitonto.

Ha avuto riferimenti personali o politici nel suo percorso amministrativo da sindaco?

Mi ha aiutato Beppe Barbone, e questa è la prima volta che lo cito, perché aveva avuto un’esperienza significativa nel Partito Democratico, e con lui mi sono spesso confrontato su diverse tematiche. E poi tutti i consiglieri e gli assessori che mi hanno accompagnato in consiglio comunale. Cerco di ascoltare i pareri di tutti, anche se alla fine devo pur decidere, e devo farlo io. Come un padre di famiglia ho provato a considerare le sensibilità di tutti, però se ce n’è uno che continua ad andare contro l’altro, anche quando ci si mette la buona volontà per starlo a sentire, a quel punto possono nascere crisi interne, com’è accaduto. E poi comunque non sono stato solo ad amministrare la città, ho avuto la giunta al mio fianco.

Una giunta che però, al termine del suo mandato, risulta dimezzata. Ci sono stati abbandoni importanti, da Marinella Murgolo (vicesindaco, poi sostituita con Rosa Calò) a Francesco Scauro (servizi sociali), da Michele Daucelli (finanze) e Domenico Nacci (sport). E rimpiazzi con Nicola Parisi all’urbanistica, delega rimasta per tre anni nelle sue mani, e Francesco Giordano al bilancio. Come ha vissuto questi “smottamenti”?

Di Marinella mi dispiace, ha dato le dimissioni dopo pochi mesi dall’inizio del mio mandato perché ha vissuto un periodo turbolento, così come tutti i funzionari e dirigenti che hanno avuto a che fare nei primi anni con l’urbanistica, essendo una delega molto pesante alla prima esperienza politica. La capisco, ma l’avevo scelta proprio per dare spazio ai ragazzi nella politica cittadina. Anche di Scauro mi è dispiaciuto, siamo rimasti amici ma ha preferito seguire in toto la politica del suo partito, il Psi, pur non condividendola al cento per cento. Daucelli non mi ha mai spiegato nel dettagli le motivazioni delle sue dimissioni, ha delegato al segretario di Insieme per la Città, Cosimo Bonasia, che ha portato avanti una mozione “out sindaco” già prima della presentazione ufficiale della mia candidatura a sindaco ad ottobre, per cui insistettero proprio loro. Ma è acqua passata, con Daucelli ci salutiamo ancora. L’unico che mi ha tolto il saluto è il segretario del Partito Socialista, Franco Matera.

Perché?

È avvenuto dopo il brutto comunicato stampa che fecero contro di me, concludendo che avrei dovuto “imparare a fare l’uomo”, a settembre scorso. Pensavo che se non avessi risposto avrei almeno potuto salvare il rapporto umano, ma non è stato sufficiente.

Con il Partito Socialista, più che con gli altri, ci sono state grosse frizioni che poi hanno portato alla rottura definitiva. Si rimprovera qualcosa?

Ammetto che la situazione è andata degenerando, ma io non confondo mai i fatti politici con quelli personali. Non mi sarei mai sognato di offendere qualcuno sul personale o di mettere in dubbio la legalità dei suoi comportamenti, non l’ho mai fatto in cinque anni. Chi lo fa con me, è spinto da rancori che non credo di aver creato con le mie azioni personali. Evidentemente loro vivono la politica come un fatto personale, io no.

Fine della prima parte. Domani la seconda.

sabato 20 Maggio 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 23:38)

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Angela Maria salierno
Angela Maria salierno
6 anni fa

Pur non avendolo votato, in questa intervista trovo una persona bella
Anche se ha fatto poco per le frazioni a mio avviso, si sa dalla notte dei tempi che ogni uno difende il suo territorio nonostante noi siamo parte di esso ..comunque una bella intervista complimenti