Politica

Politica e democrazia tra ex partiti e nuovi dilettanti

La Redazione
La globalizzazione in politica
Riflessioni di Valentino Losito sulla selezione e formazione della classe dirigente e amministrativa
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L’esito delle recenti elezioni amministrative e l’apparire nei consigli comunali di molte città di eletti che appaiono spesso quasi del tutto sprovvisti di ogni esperienza istituzionale, inducono alla necessità di riflettere su di un tema: come si seleziona e si forma una classe dirigente politica ed amministrativa? Chi seleziona i candidati e con quali criteri? La competenza, la formazione, un sistema di idee e di valori , la passione civile, o solo il grado di fedeltà rispetto a chi ti seleziona, la mera ambizione personale, l’età o l’essere espressione di una corrente, di un gruppo d’interessi, di chi controlla pacchetti di tessere e di voti?


Parte da questi interrogativi la riflessione sulla politica di Valentino Losito, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia, pubblicata oggi sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno.

La riportiamo di seguito per i lettori di BitontoLive, con il consenso dell’autore.


C’è stato un tempo in cui erano i partiti, le forze politiche organizzate, a selezionare e educare i militanti, a dotarli delle necessarie competenze, trasformandoli in “quadri” e spesso in politici di professione che, una volta collaudati, venivano sottoposti al giudizio degli elettori. Ed era anche in questo modo che la piccola borghesia e le classi lavoratrici hanno potuto accedere alla classe politica, affiancando, e spesso sostituendo, le vecchie élites, selezionate in base a criteri quali l’estrazione sociale, la ricchezza o la cultura.

Organizzando i cittadini – secondo il dettato dell’art.49 della Costituzione – convogliandoli nei propri organismi di base, riordinandone i bisogni, educandoli ed incitandoli a cooperare in vista di fini collettivo, i partiti – scrive il professor Alfio Mastropaolo – oltre a promuovere a cittadini quelli che erano in precedenza individui isolati, tessevano anche legami sociali di rilievo, conferendo alla democrazia un valore non riducibile a mera forma di governo. Grazie ai partiti, la democrazia teneva anche assieme la società.

Il tramonto delle ideologie, la deriva oligarchica, il profondo mutamento socio economico ed antropologico della società, l’avvento del web hanno portato alla crisi dei partiti. Un fenomeno che qui sarebbe lungo, per quanto non inutile, analizzare, ma che ha portato ad uno scenario in cui si è finito con l’appaltare tutto all’ uomo solo al comando o al salvatore della patria di turno, attraverso la sostanziale cancellazione dei partiti e la loro trasformazione e sostituzione in semplici cartelli elettorali.

Secondo il giornalista Angelo Picariello “ l’abilità nel primeggiare nel nuovo circo mediatico, stabilendo un contatto diretto tra il leader e il suo “popolo”, saltando la mediazione non solo dei partiti ma spesso anche degli stessi mezzi di informazione tradizionali, non crea da sola classe dirigente. La capacità di interpretare una sensibilità diffusa, tramite il veloce ed efficace veicolo dei new media si è mostrato in grado di agevolare l’ascesa di giovani leadership che i rigidi rituali dei partiti old style non avrebbero consentito, ma questo non produce automaticamente l’innervarsi sul territorio di un progetto”.

In questa liquidità, la politica è diventata un campo in cui si è affermata l’involuzione verso un pericoloso dilettantismo, spesso costruito e determinato da chi vuole avere ben stretti nelle proprie mani i fili dell’organizzazione. In una politica fatta da attori auto-interessati, proiettati a soddisfare solo i loro interessi particolari e in cui la conciliazione e la mediazione con quelli generali è considerata un’inutile perdita di tempo, i ruoli istituzionali rischiano di finire nelle mani di chi non ha le doti, le motivazioni etiche e civili, le competenze necessarie per promuovere programmi e politiche di qualità e di equità sociale a favore di tutti i cittadini.

Ma potranno rinascere i partiti? Ernesto Galli della Loggia ha scritto che “questo Paese sembra non avere più la fantasia e l’audacia di immaginare vie e strumenti nuovi, nuovi compiti e nuovi doveri. Ed è come se l’assenza di queste cose si porti con sé anche un’assenza d’interesse e di voglia di futuro, anche il desiderio e il gusto delle contese forti sulle cose vere: che è per l’appunto ciò che genera i partiti. In questo modo al posto delle lotte abbiamo le risse, al posto delle discussioni le polemiche, al posto dei giornali e dei libri i talk show popolati di «ospiti» capaci solo di ripetere slogan a cui si sospetta che essi siano i primi a non credere. La nostra vita e il nostro discorso pubblici mancano di profondità e di passione. Appaiono sempre più poveri, ripetitivi, privi di orizzonti e di progetti. Come possono nascere dei veri partiti in queste condizioni?

Esiste poi un altro insieme di ragioni – aggiunge Galli della Loggia che spiegano il ritorno al trasformismo. Una società che è tornata ad essere fragile, oggi per giunta con pochi giovani e molti anziani, una società dalle risorse di nuovo tendenzialmente scarse, è spinta naturalmente a stringersi intorno al potere, a cercarne la protezione, così come ha fatto per secoli. È spinta naturalmente a credere solo nel potere, e prima di ogni altro nel potere politico: tanto più quando questo, come accade oggi, assume un aspetto marcatamente personale che lo rende più visibile e temibile, e perciò più forte.

lunedì 19 Giugno 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 23:21)

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