Spalla

Giovanni Forcelli, 1.350 km a piedi per “tornare a casa”

Elena Albanese
Giovanni Forcelli
Fresco della laurea in Ingegneria al Politecnico di Torino, ha camminato 54 giorni per raggiungere la sua Foggia. «Non voglio più avere l'esigenza di correre»
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Giovanni Forcelli ha 25 anni ed è di Foggia. All’indomani della sua laurea in Ingegneria al Politecnico di Torino ha deciso di tornare a casa. A piedi.

È partito il 15 maggio ed è arrivato lo scorso 7 luglio. 1350 km e 54 giorni di cammino.

«Ho seguito sempre la via Francigena, facile da percorrere grazie a un’app fino a Roma – ci ha raccontato -. Dopo Roma diventa più complesso, ma online si riescono a recuperare le mappe e anche i posti in cui dormire». Ha scoperto infatti che «su Facebook c’è tutta una grande comunità che ti aiuta».

È stato ospitato in ostelli comunali e parrocchiali, questi ultimi solitamente ad offerta libera. «Un prete una volta mi ha aperto la sua chiesa e mi ha detto: “queste sono le scrivanie, sceglitene una e sdraiatici sopra”. Non so se scherzasse o dicesse sul serio. Poi mi ha indicato un materassino gonfiabile, dove ho effettivamente dormito. Quando gli ho chiesto quanto avrei dovuto pagare mi ha risposto “niente, mica mi consumi i muri della stanza!”».

Questo è accaduto nel Lazio, ma «c’è ospitalità anche al Sud. Grazie alla pagina fb che ho aperto sono stato accolto in case private due volte».

Gli chiedo quanto abbia speso.
«Il budget che avevo preventivato era di circa 30 euro al giorno. Ma spesso mi è capitato di pagare di più. Dipendeva dall’ostello, che solitamente costava dai 10 ai 20 euro, più altrettanti circa per mangiare.

Nelle zone costiere durante i weekend poi i prezzi sono esorbitanti. Mi è capitato di dormire in spiaggia, ma anche di utilizzare Airbnb. Poi ho dovuto cambiare anche un po’ attrezzatura: magliette, scarpe, ed effettuare spedizioni a casa. In totale, credo di aver speso circa 2mila euro»

Cambiamenti in corso, dunque. Cosa c’era nel tuo zaino alla partenza e cosa all’arrivo?
«Alla partenza due guide, entrambe regalatemi, una bussola professionale piuttosto pesante, pantaloni lunghi. Ho rimandato tutto indietro: in Italia a giugno fa tanto caldo!
In generale penso di essere partito pieno di ricordi, da cui mi sono sganciato per mettere in pausa la mia vita. Siamo sempre in cammino, quindi non serve tanto ricordare, quanto vivere il presente. Ho portato con me cose che mi hanno dato o che ho raccolto: santini, piume, addirittura un proiettile a salve… Fondamentale è stata la credenziale: è un libretto che accerta il tuo pellegrinaggio, grazie al testimonium che ricevi a Roma. Serve inoltre per ottenere degli sconti. Adesso è poco più di un gadget, ma per i pellegrini di 1000 anni fa era il segno tangibile dell’indulgenza ricevuta».

C’è stato un momento in cui hai pensato di abbandonare?
«Sono partito molto carico. Ma già il secondo giorno è arrivata la notorietà e ho sentito sulle spalle la grossa responsabilità di centinaia di persone che credevano in me. Ma è durato poco; il fatto di camminare con altre persone ti dà la carica. Hai del sostegno, che può essere rappresentato a sera da una crema o da un cerotto…

Il caldo mi ha “squagliato”, ma non ho avuto molti problemi. Il momento più tragico è stato due giorni prima di arrivare: mi sono trovato in mezzo al niente in una zona pericolosa, al confine tra Puglia e Campania. Se ti fai male è rischioso. Mi sono spaventato, ma poi basta pochissimo, basta rimettersi sul sentiero. C’è una sorta di terapia nel camminare».

Qual è stato l’incontro più bello?
«Un ragazzo messicano della mia età, anche lui in un processo di cambiamento della vita: aveva lasciato il lavoro per ricominciare a studiare. Condividevamo tutto, eravamo quasi in simbiosi. Non camminavamo insieme, ma la sera ci ritrovavamo sempre. L’ho incontrato in Lombardia e abbiamo viaggiato in parallelo per circa 15 giorni, poi lui si è fermato una settimana e mi ha riagganciato facendo due tappe in una. L’ho rincontrato a sorpresa che mi aspettava in un bar».

Il cibo più buono che hai mangiato?
«I testaroli, delle crepes tagliate a listelle e servite come pasta condite col pesto. Si consumano in Liguria e in Toscana. Proprio in Toscana ho assaggiato le cose più particolari: la pancianella, insalata col pane bagnato, e la pappa al pomodoro. Ci tengo a precisare che sono vegetariano, quindi non ho mangiato nè carne nè pesce».

L’arrivo “a casa” è stato come te lo aspettavi?
«Un po’ movimentato, con radio e tv che mi seguivano e mi hanno destabilizzato, ma per il resto è stato perfetto, non vedevo l’ora di sedermi sul mio divano.

Cosa ti rimarrà di questo viaggio?
«Quello di cui avevo bisogno era accrescere la mia autostima, e l’ha fatto. Avere un obiettivo folle e riuscire a raggiungerlo è molto gratificante. Era una sfida fatta con me stesso e mi ha permesso di prendermi una pausa e di riflettere. Si rincorre sempre qualcosa, ed è necessario uscire da questa logica; durante il cammino mi hanno chiamato anche per dei colloqui, ma ho dettato io i tempi. Produrre, fare, è giusto, anche io adesso sto cercando lavoro, ma è soprattutto importante essere consapevoli di ciò che si vuole. E io non voglio più avere l’esigenza di correre».

mercoledì 18 Luglio 2018

(modifica il 28 Giugno 2022, 19:58)

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