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Don Vincenzo Cozzella: «Sono nato sacerdote»

Marco Lovero
Don Vincenzo Cozzella festeggia i suoi 80 anni
Il rapporto con Dio, la Chiesa e i fedeli  raccontati dal parroco di San Silvestro, che ha compiuto 80 anni da qualche giorno
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Qualche giorno fa ha raggiunto il traguardo delle 80 candeline. Don Vincenzo Cozzella è sacerdote dal 1966: una vita dedicata a testimoniare la fede in Cristo. Parroco di San Silvestro (per i bitontini “il Crocifisso”), con le sue omelie incentrate sul recupero del vero significato delle parole della Bibbia, spesso travisato nelle traduzioni tradizionali, ha “rivoluzionato” il modo di dire Messa.

L’abbiamo incontrato, vincendo la sua resistenza a “mettersi in mostra“, per un’intervista in cui racconta il suo rapporto con Dio, la Chiesa e i fedeli con la sua proverbiale e disarmante sincerità.

 

Chi o cosa l’ha spinta a diventare sacerdote? Ha mai avuto ripensamenti o momenti di crisi?

«Sono “nato” sacerdote essendo entrato in contatto fin da piccolo con le parrocchie, e ho maturato la decisione di diventare sacerdote quasi inconsciamente. Non mi pento di questo, anzi questo ruolo è la cosa più bella e gratificante che mi sia capitata e che soddisfa il mio interesse per il mondo e la società. Il mio unico ripensamento è il non aver fatto abbastanza a causa dei condizionamenti imposti dalla società e dalla Chiesa. Un esempio è il Concilio Vaticano II voluto da Papa Giovanni XXIII, che si era posto obiettivi straordinariamente rivoluzionari ma ha finito per essere un grande terremoto che non ha cambiato la sostanza della Chiesa, fatta di tradizioni che continuano a prevalere.

Ciò mi porta a ricordare “Sognare Eresie”, un libro del vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi. Nel libro passa in rassegna tutto il catechismo e propone linguaggi adeguati alla cultura di oggi, e non quella di ieri, fatta di dogmi nati fra il 325 e il 351 coi concili di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia in cui sono nati il peccato originale, la redenzione attraverso il sacrificio, l’ira e il rancore di Dio, la superiorità del Cristianesimo nei confronti delle altre religioni. Bisognerebbe rinunciare a questi dogmi, anche se questo mette in crisi i sistemi della Chiesa.

Personalmente non posso minimamente assegnare ad un neonato il peccato originale, come se quel bambino da battezzare fosse un peso, come se non fosse figlio di Dio.  Questo è inaccettabile: un bambino è l’atto di amore e grazia per eccellenza. Altro tema è la redenzione attraverso la sofferenza: noi abbiamo il convincimento ideologico che Gesù debba morire sulla croce per liberarci dal peccato, un mito che appartiene al paganesimo dove gli Dei si facevano “pagare”. Il Dio cristiano appartiene però all’amore, non può chiederci di pagare per liberare dal peccato: l’espiazione è un’azione misericordiosa della fede in cui Dio è amore, perdono, gratuità. Se Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, non può schiacciarlo o fargli pagare il pegno del peccato di un altro uomo. Anche qui si tratta di un’influenza delle religioni pagane».

 

Quali sono state le esperienze che più l’hanno segnata durante il suo percorso sacerdotale?

«In verità non ho fatto molte esperienze come sacerdote, ma ho avuto la fortuna di fare una cosa soltanto: il parroco per 57 anni, anni in cui ho dedicato attenzione e benevolenza alla mia parrocchia. L’esperienza che più mi ha permesso di essere beato è il non aver fatto molti progetti, tranne quello di aver facilitato la comunicazione della Bibbia. Da quando sono qui mi sono messo in relazione con tanti studiosi della Bibbia, i biblisti, con cui ho imparato a conoscere la Chiesa in maniera diversa da quella dei seminari, analizzandola in chiave teologica. Un’altra preziosa esperienza sono stati i viaggi fatti per prendere coscienza di alcuni degli insegnamenti del Vangelo. Inoltre, ci sono stati tre momenti della settimana in cui spiegavo la Bibbia: il martedì, il giovedì e la domenica, durante la messa: qui, anche mettendo da parte altre letture, la gente mi è sembrata molto interessata alle mie parole di rottura rispetto ai messaggi della morale cristiana tradizionale».

 

Lei è sacerdote da 57 anni. In questi anni quanto è cambiata la Chiesa, anche a livello locale? E come è cambiato, secondo la sua esperienza, il rapporto della gente con Dio? Da dove nasce la sua insofferenza per i riti popolari come processioni e culto dei santi?

«Parto da una premessa: non so perché ma sono l’unico parroco che non ha una statua, una congrega o una processione. Tendo a prendere le distanze da questo tipo di esperienze. La gente, nella sua impreparazione, è legata a statue e immagini: tanto vale Dio quanto una statua da portare in processione che ti rende “devoto”, schiavo. I santi non sono Dei ma uomini che la Chiesa propone solo come modelli da imitare. Dio non ha bisogno di preghiere e mediatori, è pienezza. Si crea uno scrupolo causato non dal divino ma dalle religioni, strutture create da uomini con cui si vuole far conoscere un Dio che esige, crea dubbi, costringe ad essere rituale e formale che ci rende insoddisfatti. Anche Mosè, per quanto potesse essere in comunicazione con Lui, non ha mai parlato con Dio, essendo un’entità trascendente che non ha corpo né voce. Mosè doveva esigere che la gente rispettasse queste leggi, i Dieci Comandamenti, ma noi sappiamo che Dio non potrà mai fare queste proposte perché, se esiste, non potrà che essere Vita, e manifestarsi attraverso il rispetto e l’amore per gli altri, senza un rapporto contrattuale, di “interesse”».

 

Diversi sono i problemi che la Chiesa deve affrontare: chiese sempre più vuote, calo delle vocazioni sacerdotali, genitori che preferiscono non battezzare i figli, cristiani che scelgono di sbattezzarsi. Tutto ciò a cosa è dovuto?

«Viviamo il tempo della scristianizzazione, in cui la gente non ha bisogno di Dio e non è interessata alla Chiesa. I bambini adesso sanno che in chiesa si va solo per la comunione, la cresima, il matrimonio e i funerali. La domenica, unico giorno libero, viene sfruttata per altre attività come gite, passeggiate e shopping. La Chiesa si è sempre adeguata in funzione delle masse. Tuttavia, recentemente ho avuto diverse richieste di sbattezzo, un atto che manifesta la volontà di non voler essere chiamato cristiano. Ed in effetti solo il 20% dei battezzati va in chiesa. L’ideale sarebbe ricominciare da capo dando maggiore libertà, senza soffrire la passività, l’indolenza, l’afasia di chi non sa amare e perdonare: ciò per un cristiano è un controsenso. Bisogna riconoscere che la Chiesa ha una struttura piramidale che vede i fedeli all’ultimo gradino e il Papa in cima. Dovremmo invece capovolgere questa piramide invitando i fedeli ad essere parte attiva, attori della Chiesa. Bisogna anche rivedere dogmi e ideologie che possono dare l’idea di un Dio malvagio, denigratorio quando invece Egli è tenerezza, amore. Per quanto riguarda il calo dei sacerdoti bisognerebbe ritrovare il senso della vocazione, educando anche alla sessualità per poter comprendere o modificare il celibato e ritrovare il carisma dell’annuncio del Vangelo e della sua comunicazione divina in cui emerge un Dio che accoglie, ama, perdona».

 

Spesso si parla di individualismo sfrenato, un atteggiamento sempre più comune. Da dove nasce? Come si può superare?

«Faccio un esempio: nella genesi, agli inizi, si parla di Caino e Abele, un episodio che funge da immagine didattica, educativa che ovviamente fa parte della mitologia, non è storica: la Bibbia non racconta cose vere, ma si serve spesso di fatti mitizzati. Considerando i loro genitori, Caino ed Abele dovevano essere il meglio ma Caino uccise il fratello per invidia. Individualismo, quindi, nasce perché nella cultura ognuno pensa a sé stesso, non c’è comunicazione, comunione. L’individualismo deve essere educato attraverso fraternità, condivisione di cui manchiamo, siamo incapaci. Anche nelle coppie si tende ad essere egoisti, arrivando ad essere “separati in casa”, causando un grande danno psicologico e educativo per i figli».

 

Dove trova la forza e l’energia spirituale per andare avanti nella sua opera sacerdotale?

«Con la preghiera, un atto che io non reputo formale ma come un parlare con Dio. Impegno la mia giornata nel leggere e studiare materiale che arricchisce le mie idee e il mio convincimento, può sembrare di parte ma penso che siano a beneficio della libertà degli uomini».

venerdì 6 Maggio 2022

(modifica il 4 Luglio 2022, 16:36)

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