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Terrore e bugie, lo strano caso del ‘mostro di Firenze’

Danilo Cappiello
'Bitalk'
Se n'è discusso durante la tre giorni del 'BiTalk' festival
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Diciassette anni. Otto duplici omicidi, sedici vittime ed una scia di sangue che ha gettato nel panico un’Italia intera. Il caso del “Mostro di Firenze” è forse uno dei più grandi misteri irrisolti italiani. La serie di crimini che ha sconvolto la Toscana fra gli anni 1968 e 1985, rappresenta ad oggi uno dei più grandi buchi neri della giustizia italiana. Una giustizia che, a distanza di trentadue anni, non è mai stata in grado di dare un nome ed un volto reale al così detto “mostro”. Una vicenda caratterizzata da molti punti oscuri, fra bugie, tabù sfatati, prove raccolte e poi sparite nel nulla, nomi ed accuse mai realmente concrete, ed un potere mediatico che ha gettato nel ridicolo l’intera vicenda e l’intera nazione.

Sono molti infatti i punti oscuri di questa vicenda che ieri, durante il “BiTalk” festival, sono stati discussi grazie all’incontro moderato dalla giornalista Marta Perego, ed al quale hanno preso parte li criminologo Sergio Caruso, lo psicologo e psicoterapeuta Geremia Caprioli, l’attore Giorgio Colangeli ed li sindaco di Bitonto Michele Abbaticchio.

Nessun nome dunque. Nonostante per anni infatti la matrice esecutiva dei delitti sia stata assegnata al contadino Pietro Pacciani, ad oggi il mostro non ha ancora un nome. E non solo per la morte, anch’essa carica di dubbi, di Pietro Pacciani, ma perché, attorno agli omicidi, si disgregano due linee di pensiero. Da un lato, vi è chi sostiene che si tratti di un seriale con specificità missionaria e sessuale; dall’altro, vi è invece chi sostiene la pista esoterica. Fra le due linee di pensiero, il dolore ed il rammarico di parenti delle giovani vittime, ai quali non è stato ancora consegnato un colpevole.

Durante li processo, ad essere ritenuti colpevoli degli omicidi furono i contadini Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, soprannominati “compagni di merende”. Tre nomi che il criminologo Sergio Caruso ritiene assolutamente inadatti a compiere degli omicidi: «I nomi di Pacciani, Vanni e Lotti rappresentano uno dei tanti orrori giudiziari compiuti durante il processo. Un processo tragico comico. Perché è imbarazzante che ad essere accusati di otto omicidi siano stati tre contadini. Di cui, Mario Vanni, ritenuto la mente, altro non era se non un amante del bicchiere. Giancarlo Lotti, ritenuto il palo, aveva problemi sociali e soffriva di ritardi cognitivi, e Pietro Pacciani, ritenuto l’esecutore materiale, altro non era che un contadino irascibile, e dunque privo della freddezza riconosciutagli negli omicidi. Resto comunque dell’idea che si tratti di un seriale affetto da specificità missionaria e sessuale».

Degli effetti del caso “mostro di Firenze” all’interno della comunità di allora, ha invece parlato lo psicologo e psicoterapeuta Geremia Caprioli: «In un epoca fatta di tabù, il caso del mostro ne ha infatti parecchi. Per la prima volta infatti la comunità è stata scossa da tre avvenimenti: l’accoppiamento delle coppie nelle campagne, il sesso, e l’omicidio di giovani ragazzi e ragazze. Un qualcosa che inevitabilmente ha segnato per sempre non solo gli abitanti dei paesi direttamente coinvolti, ma un’Italia intera».

Inevitabilmente la ferocia ed il modus operandi del mostro attirarono l’attenzione dei media ed è lì che, secondo l’attore Giorgio Colangeli, si è perso il contatto con la realtà: «Quando ho interpretato la fiction sul mostro, mi sono documentato molto. Credo però che qualsiasi caso di cronaca nera termini sui registri dei media, diventi quasi un qualcosa da strumentalizzare ed usare a proprio compiacimento. Per il mondo mediatico, i casi irrisolti sono una vera e propria fortuna. Così facendo infatti è concesso aggiungere sempre più morbosità al delitto stesso».

Ma la storia del mostro non è fatta solo di sangue e bugie, ma anche di coraggio. Lo stesso coraggio che avuto il signor Renzo Rontini, padre della giovane Pia, che per anni ha portato avanti da solo una battaglia per la scoperta della verità. Una battaglia che ha colpito molto il sindaco Michele Abbaticchio: «Ciò che mi ha colpito di questa storia è il coraggio contrapposto al dolore del signor Rontini. Il suo coraggio fa da specchio a quello che inevitabilmente è stato un fallimento della giustizia italiana».

Dopo trentadue anni però, nel luglio scorso, è stato scelto di riaprire il caso. L’auspicio è che almeno questa volta venga fatta luce sulla vicenda.

lunedì 13 Novembre 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 22:12)

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