Attualità

Profumo di tradizioni, colva e passione per la cucina

Carmela Rossiello
La colva
Il racconto della preparazione in famiglia di un dolce antico, simbolo di vita e fertilità
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Ed anche quest’anno, come ogni anno, è arrivato il suo momento. Abbiamo preparato la colva.

Un dolce antico, di origine contadina, fatto con ingredienti semplici tipici della nostra terra: grano, fichi secchi, mandorle, noci, uva, chicchi di melograno, cioccolato, cannella e vincotto. La colva è simbolo di fertilità, indica la riaffermazione della vita che primeggia sul ciclo vita-morte-vita.

Nella mia famiglia si cominciava a pensare alla colva, ma anche alle cartellate e ai sasanelli, fin dall’estate, quando in agosto dopo il rito della salsa, mia madre preparava il vincotto. Puliva i fichi, li faceva cucinare e poi li riponeva in un sacchetto di stoffa strizzando in maniera energica il contenuto. Il liquido che ricavava lo metteva in una pentola smaltata bianca e lentamente, per ore, ribolliva una mistura che oscillava tra il marrone scuro e il rossiccio e per tutta la casa si spandeva un odore inebriante, che anticipava il clima di future festività. La cottura terminava quando mia madre versava un po’ di quel liquido su un piattino e con il dito strisciava per controllare che la densità fosse quella giusta. Dopo tanto lavoro il vincotto veniva imbottigliato ed io raccoglievo dal recipiente tutto il possibile: una squisitezza infinita! Il vincotto riposava in attesa del suo utilizzo, e finalmente arrivava ottobre, la festa dei Santi Medici, e subito dopo sapevamo che sarebbe arrivato il tempo della colva.

Ricordo perfettamente anche quando mia nonna chiamava a raccolta noi nipoti già qualche giorno prima della festa di Ognissanti, e ci faceva snocciolare mandorle e noci, raccontandoci che bisognava preparare un dolce per i nostri cari che non erano più con noi. Gareggiavamo a chi riusciva a romperne di più! Il 31 ottobre invece bisognava pulire il melograno, ed era una festa. Il succo rosso, la dolcezza di quei chicchi che furtivamente mangiavamo, le risate per essere sfuggiti alla severa sorveglianza della nonna.

Ovviamente questa tradizione è continuata con mia madre. Ora non ricorda tutto perfettamente, ma a me piace coinvolgerla, le faccio intendere che sono io che non ricordo bene e le chiedo come andare avanti e lei, come se io fossi una bambina, mi dice che sto procedendo in maniera giusta. Puliamo le noci, spezzettiamo le mandorle, l’uva, puliamo il melograno, tagliuzziamo i fichi e uniamo tutti gli ingredienti al grano che le ho fatto tenere a bagno per due giorni e che io poi cucino. Nel recipiente poi, pian piano, amalgamiamo tutto con il vincotto, e lei racconta di come sua nonna faceva la colva.

Per anni è stata mia madre a prepararla, poi qualcosa si è interrotto nei suoi ricordi. Poi ha continuato mia sorella Mariolina. Quest’anno, invece, ho voluto cimentarmi io, e per le richieste ricevute credo sia stata gradita ed apprezzata.

I miei figli, mentre la preparavo, mi hanno abbracciata più volte e questo accade ogni volta in cui decido di dedicarmi alla cucina (purtroppo in settimana, per via dei miei impegni di lavoro, spesso tocca a mio figlio maggiore). Lo faccio con passione, mi rilassa. Mi piace preparare focacce, parmigiane, panzerotti, calzoni di cipolle, e poi tanti primi a base di pesce o con ingredienti di stagione: orecchiette con cime di rape condite con l’olio di poliva, nel quale faccio soffriggere aglio, peperoncino e acciughe; cicorie campestri (raccolte personalmente in campagna durante splendide passeggiate in compagnia di mia sorella e mio cognato Lello) con favetta, condite con olio, aglio e peperoncino; risotti ai funghi o ai frutti di mare); cavatelli con ceci e vongole…

Ma il massimo credo di darlo il 31 dicembre, quando preparo sempre qualcosa di particolare e scenografico. Indelebile è il ricordo di una tacchinella ripiena che avevo disossato seguendo un tutorial, farcita poi con prugne secche, pistacchi, carne tritata, mele, albicocche secche e pane bagnato nel latte. Lunga cottura in forno e poi guarnizione di mele e arance, per applausi a scena aperta, prima e dopo la degustazione.

Credo che si debba cucinare sempre pensando a qualcuno, altrimenti si sta solo preparando da mangiare. Cucinare è come amare, o ci si abbandona completamente o si rinuncia. Per me la cucina non significa solo leggere una ricetta, è una questione di sensibilità, di rispetto degli ingredienti e poi, dopo una giornata in cui niente è sicuro, tornare a casa e sapere con certezza che, aggiungendo alla farina rossi d’uovo, zucchero, latte e cioccolato, l’impasto si addensa, è un conforto impagabile!

Nota biografica

Carmela Rossiello, classe 1959, è dirigente scolastica del polo liceale Amaldi di Bitetto. Appassionata di sport e politica, è consigliera comunale di opposizione a Bitonto.

lunedì 2 Novembre 2020

(modifica il 28 Giugno 2022, 14:43)

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