Il fardello

Ernesto Abbate, il musicista bitontino amatissimo a Squinzano

Marino Pagano
Ernesto Abbate
Il celebre direttore di banda è ricordato in una lapide affissa sul muro esterno di Palazzo Gentile
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Eccoci ancora a parlare di musicisti. Qualcuno potrebbe chiederci: ma li avete forse tutti voi? Solo voi? Ebbene, tra le tante specificità culturali in cui la città eccelle, questa è sicuramente tra le prime, anche perché popolare e di immediato riferimento. Pensiamoci e facciamo mente locale.

Un testo bitontino del ‘200 (esempio di antichissima e forse prima drammaturgia pugliese, scritto sotto forma di canto dialogato).

“Va allo calvario la dolente madre”, una lauda sulla Passione del 1352, vergata da un anonimo confratello della congregazione laica dei Bianchi. Marco Benedetto Mezzullo, arciprete della Cattedrale, fine quindicesimo secolo, detto “Il pauroso”. I vari maestri di cappella, cantori e musici presso la Cattedrale alternatisi nei secoli, tra cui piace ricordare l’abate settecentesco Michele Falco. Giovanni Battista Abadessa o Abatessa, insigne chitarrista del ‘600. “I musici penitenti, i trombettieri, i tamburi” di cui parla il drammaturgo Bartolomeo Maiullari nella descrizione di una processione della Passione di Cristo del 1679. E poi i giganti Tommaso Traetta (con suo figlio Filippo), Bonifacio Nicola Logroscino (con in più il fratello Pietro e forse lo zio –o per alcuni nonno-, ancora Pietro), Gaetano Maiorano detto il Caffarelli, Antonio Planelli. E poi ancora i poco ricordati violinista Francesco Panisco e basso Giuseppe Saracino. Siamo chiaramente nel ‘700. Dopo, evo contemporaneo: Davide Delle Cese (e il figlio Italo), Michele Carelli, Biagio-Gennaro-Ernesto Abbate, Pasquale La Rotella, Francesco Vacca, Nicola-Vincenzo-Francesco Bellezza, Angelo Domenico Luiso, Francesco Ventafridda, Francesco Paolo De Renzio e suo zio, canonico Pietro. Per tacer dei più recenti dei decenni a noi vicini o addirittura dei contemporanei.

È dunque evidente come la città di Bitonto, già degna di lode e rinomatissima per le varie discipline artistiche e per le altissime umanità che ha donato alla storia del pensiero e della ricerca, si distingua per questa corale (mai termine fu forse più opportuno) grandezza di esercizio, dottrina e appunto mera espressione artistica inverata nel campo vario della musica, delle sue scuole, delle sue epoche e dei suoi stili nella storia.

Un’espressività corale giacché tale è cioè l’effluvio di ricchezza sperimentato nel campo artistico musicale da esponenti bitontini: lauda, austera composizione, strumentistica varia, bel canto, musica colta e popolare, il melodramma, l’opera buffa, direttori di orchestra ammirati in tutto il mondo, musica da banda, marce funebri, marcia sinfonica.

Oggi ci soffermiamo sul già citato Ernesto Abbate.

Celebre direttore di banda nel leccese, a Squinzano, dove ancora oggi è nella memoria collettiva venerato (come del resto Luiso a Salice Salentino), risulta nato a Noicattaro nel 1881 da Biagio, musicista bitontino e affermato direttore d’orchestra.

Ebbe quattro fratelli, tra questi solo Gennaro intraprese come lui la scelta musicale, sulle felici orme paterne.

Fu direttore di banda anche a San Ferdinando di Puglia e Soleto. Arriva nel 1919 a Squinzano e ne diventa cittadino onorario già nel 1921. Interpretò al meglio le riforme allora in voga rispetto all’organico strumentale, riforme che vedono nel nome del casertano Alessandro Vessella il loro più acuto e riconosciuto interprete.

Squinzano divenne addirittura, come riportano molte documentazioni, “emblema dell’avanguardia musicale italiana”.

Un esperimento di livello, insomma. Con al centro il nostro Abbate.

Ernesto è ricordato, con Gennaro, in una lapide affissa su corso Vittorio Emanuele, sul muro esterno di Palazzo Gentile.

Scrisse musica originale per banda: soprattutto si ricordano diversi poemi sinfonici.

Il più conosciuto fra tutti è “La sagra dei fiori”, opera che racconta i riti di benedizione dei fiori nei paesi rurali del Sud. E poi “Canto d’eroi”, poema cavalleresco, e ”La Principessa lontana”, poema drammatico ispirato ai versi di Carducci e Rostand.

Afflizione, pietà, tormenti: ecco i tratti peculiari di questi lavori. Inventò la cosiddetta “marcia sinfonica”: non più solo caratteri militari o trionfali o funebri ed ecco titoli originali come “Bella Madonna” (dalle sonorità orientaleggianti), “Ninì la capricciosa”, “A Tubo”. Tentò così di coniugare musica colta e impiego di banda, al di fuori dei messaggi valoriali o moralisti, nel solco della musica descrittiva romantica.

Malato, lasciò al fratello Gennaro la direzione della banda di Squinzano e si ritirò a Martina Franca, dove morì il 24 aprile del 1934. Il suo corpo riposa nel cimitero di Squinzano, città che ha avuto tantissimo nel cuore.

giovedì 14 Settembre 2017

(modifica il 28 Giugno 2022, 22:44)

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