Cultura

Non chiamateli Briganti, perché sono gli italiani di oggi

Donato De Ceglie
Non chiamateli Briganti
Siamo figli di quello che è stato quel periodo storico raccontato da De Vita e Mancini: il Risorgimento che tante soluzioni può regalarci per scoprire cosa si nasconde dietro alcuni meccanismi del nostro presente
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I terraticanti, i “cafoni”, ci vuol poco a trasformarli in briganti. Lo sanno bene i fratelli Capitoni, due onesti cittadini del Regno, alle prese con la trasformazione di un Paese e la loro vita dedicata improvvisamente “alla macchia” per l’accusa di un furto di due pecore.

Paolo De Vita e Mimmo Mancini, due grandi attori baresi, con le vesti lacerate dal fango, dalla vita di campagna e con un pastrano mimetizzante, saltellano dall’italiano “vernacolizzato”, all’italiano in dizione per un doppio piano narrativo. Da una parte i fratelli Capitoni e le loro disavventure altalenanti tra ruberie, storie d’amore e tensioni. Dall’altro lato le storie di personaggi che, come in un libro di approfondimento storico, si incastrano in una rete tenuta insieme dallo scorrere del tempo, dal potere e dalle scelte di convenienza: la storia dell’Italia.

Siamo figli di quello che è stato quel periodo storico raccontato da De Vita e Mancini: il Risorgimento che tante soluzioni può regalarci per scoprire cosa si nasconde dietro alcuni meccanismi del nostro presente. Ci sono dei perni importanti per lo spettacolo: dal cartonato di 50 centimetri raffigurante una “guardia” (prima borbonica, poi garibaldina e infine sabauda) attorno al quale si trasforma la storia d’Italia, le pecore, il buon Pasquale Volturno, il doppio volto di una scelta, l’interesse mascherato da libertà, gli abiti e la “camisa” che fornirà la chiave di lettura finale. C’è un climax di intensità costante e coerente nell’interpretazione dei fratelli Capitoni, legati in fondo dalla necessità di “cambiare bandiera” e ritrovarsi uniti sotto i neon tricolore.

A fine spettacolo, per prendersi gli applausi del pubblico, sul palco vengono chiamati il regista Marcello Cotugno e tutti i ragazzi che hanno contribuito alla realizzazione dello stesso, dalle luci alla scenografia passando per i costumi e l’audio.

La metafora dell’Italia odierna – dietro tutte le parole che hanno costruito la storia del Paese – è quella del polpo: la capacità tutta nostrana di trasformarci in una bestia di mare che deve adattarsi, appigliarsi al punto più conveniente, trovare l’appoggio più comodo, spostarsi con cautela e quando la situazione si fa poco sicura, mimetizzarsi in una “nebbia nera”.

Non chiamateli briganti, insomma.

domenica 13 Gennaio 2019

(modifica il 28 Giugno 2022, 18:42)

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