Politica

Per un’Italia dei Comuni, non… in Comune

Emiliano Marrone
La battaglia di Legnano
Oggi l'unità nazionale può essere rinvigorita solo da una coralità d'intenti che gli enti locali hanno messo da parte, a vantaggio dell'ambizione personale
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Sul terreno della sussidiarietà si gioca il futuro dell’Italia delle autonomie, dei Comuni, degli enti locali più vicini (almeno nella limpida teoria) ai cittadini. Compensare le mancanze, le defezioni, perseguire la felicità di una comunità sotto i vari aspetti che la modernità prevede, è un onere istituzionale e costituzionale demandato all’ente territoriale prossimo agli individui.

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Gli attuali mutamenti economici e sociali in scala nazionale rendono insufficienti i provvedimenti centrali, comprovando l’obbligo di un’espansione dell’intervento all’ente sussidiario. La giustificazione è prettamente di diritto pubblico: l’ente inferiore in grado di svolgere una mansione non subisce ingerenze da quello superiore, il quale si limita a sostenerne la capacità di azione. In uno scenario pertanto sempre più complesso, in virtù delle conflittualità di pertinenze, si staglia la necessità di accrescere la consapevolezza di appartenere non solo ad una comunità nazionale ma anche ad una comunità municipale, di destino, che condivide un ethos pubblico e un comune sentire.

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Il concetto di Comune non assume soltanto una dimensione governativa, ufficiale, amministrativa. Si profila come una nozione culturale, come quell’ambiente sociale in cui l’esercizio delle libertà diviene primario. Il Comune deve assumere la forma di un teatro dell’azione pubblica, in cui il coordinamento politico e cittadino sia più forte e più saldo. Amministrare un Comune, al di là degli impegni istituzionali e amministrativi, significa elevare una comunità civile, ascoltarla, difenderla da minacce di qualsiasi provenienza. Amministrare un Comune, con tutte le difficoltà che comporta, non deve minimamente significare capeggiare una comunità: si rifugga da ogni capopopolo con manie di grandezza, con bramosie arcane e disvalori tirannici. La tirannia amministrativa, malgrado abbia avuto accezione pienamente positiva ai tempi della lotta tra fazioni nella Grecia Antica, oggi si configura come un immobilismo ai cambiamenti e ai grandi temi, come un’adesione organica al pensiero unico, qualsiasi esso sia. Mantenere in vita la dialettica e la dimensione del dibattito impedisce l’ascesa del pensiero unico e alimenta uno spirito comunale, democratico e medioevale, nella misura in cui esso s’ispiri al rifiuto netto di un sistema di potere e nell’affermazione della libertà.

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LA LEGA DEI COMUNI

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Alla tirannia amministrativa si oppose già nel XII secolo una Lega di Comuni del nord Italia, in Lombardia per la precisione, in conformità al contemperamento tra libertà e sicurezza. Il sistema di potere imperiale, che voleva ricondurre allo status quo ante i Comuni della Lega Lombarda, suscitò sdegno e contribuì alla diffusione di uno spirito autonomista foriero di una coscienza ostile alla tecnocrazia germanica. La Lega Lombarda fu il primo esperimento autonomista della storia d’Italia, nonché uno dei primi vagiti dell’Unità Nazionale.

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Oggi l’Unità Nazionale può essere rinvigorita solo da una coralità d’intenti che gli enti sussidiari e inferiori hanno messo da parte, a vantaggio del baronato e dell’ambizione personale, che è ambizione di un piccolo gruppo dirigente, organicamente adeguato alle richieste del potentato. Che possa piacere o meno, la storia è maestra di vita e acquisto per sempre, proprio come l’esperienza di Guido da Landriano (condottiero delle truppe della Lega Lombarda nella battaglia di Legnano), a buon diritto tra i fautori di un Risorgimento ante litteram.

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lunedì 11 Gennaio 2021

(modifica il 28 Giugno 2022, 14:15)

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